SERVE IL VARO DI MISURE SHOCK PER IL RIASSETTO SIDERURGIA A TARANTO
Per quanto riguarda l’acciaio Comunitario, è dal 2018 che parte della produzione europea è stata largamente spiazzata da materiali a basso costo in arrivo dall’estero. Turchia, Russia, Serbia e Taiwan in testa.
La nostra industria continua a perdere quote e siamo costretti ad importare acciaio prevalentemente da paesi il cui rispetto ambientale è minimo o pressoché nullo rispetto allo standard europeo. Serve un cambio di passo repentino affinché chi ha la responsabilità ed il “timone” di questa scelta, di “sistema”, così come l’ha definita il Primo Ministro Giuseppe Conte in visita qui a Taranto per quanto riguarda l’acciaio in Italia.
Il governo parla di rilancio da più di otto anni, ma in questo parlare i fatti sono che oggi l’Italia importa circa la metà dell’acciaio che consuma.
Le importazioni di ferro e acciaio Turco in Ue sono passate da 4,9 a 7,6 milioni di tonnellate, per un valore complessivo di quasi 5 miliardi di euro. La stessa cosa è avvenuta con la Russia (da 10 a 12 milioni di tonnellate) e con Taiwan (+40 per cento).
E’ il nostro Paese a pagare il conto più salato, dal momento che proprio qui finiscono gran parte dell’acciaio e del ferro in arrivo dai Paesi extraeuropei. Nel giro di poco più di un anno la Turchia è diventata uno dei principali fornitori delle aziende italiane, superando colossi come Cina e India e l’import di acciaio nel 2019 è salito ulteriormente toccando vette prossime ai 10 milioni di tonnellate.
Nel meccanismo di salvaguardia europeo, l’Unione ha reagito con un meccanismo entrato in vigore nel luglio del 2018 e diventato strutturale a inizio 2019. In sostanza consente l‘ingresso gratuito in Ue di merci dall’estero solo fino al raggiungimento di una certa soglia, calcolata in base alle importa- zioni degli ultimi anni. Una volta superata (ogni categoria di acciaio ha la sua) scattano le imposte al 25 per cento. Per non strangolare la potenziale crescita dei flussi commerciali, però, la Commissione ha previsto che il tetto alle importazioni “libere” cresca a intervalli regolari del 5%; solo di recente si è deciso di rallentare il ritmo della liberalizzazione al 3%.
Ma restringendo la lente grandangolare, tutto ciò trova intreccio nel panorama globale della manifat- tura dell’acciaio, consegnandoci qui a Taranto un problema nel problema. Una misura protezionistica vana quella della UE, laddove permanesse il pericoloso stato di impasse per quanto riguarda la situazione a Taranto, in quanto i tempi non sono certo una variabile trascurabile. Soprattutto necessita il varo di una politica industriale che sia da vero e proprio schok al riassetto della siderurgia del “green deal”, diametralmente opposta al passato, ma nella consapevolezza che Taranto si attesta comunque strategica, perché quasi la metà dei coils viene prodotta da qui.
Sebbene sia difficile operare previsioni puntuali sulla reale ripresa del mercato dell’acciaio, qualcosa, nonostante il dilagare della pandemia continua a muoversi, si comincia ad intravedere qualcosa, ma è fondamentale non lasciare questa delicatissima fase nelle mani di chi, come ArcelorMittal, continua a praticare un esercizio insano per questa città, per i lavoratori e per il Paese.
Nel ragionamento che da qui a poco si svilupperà, sarà necessario spazzare l’incertezza sul futuro dello stabilimento e mettere un punto fermo con la forza di una saldatura, per le ragioni di una produzione sostenibile nel pieno rispetto dell’ambiente, della vita e della salvaguardia occupazionale in grado di tutelare tutti i lavoratori Sociali, dell’ Indotto e di Ilva in Amministrazione straordinaria.
Apprendere di ulteriori, non auspicabili, eccezioni che procrastinino i tempi prefissi per il riassetto ed il rilancio della fabbrica, significherebbe accrescerebbe malessere e forte ansia per la già drammatica fase storica che si sta attraversando e a cui non eravamo preparati. Uniti, bisognerà munirci di ragione, determinazione e coraggio per riporre rapidamente nel cassetto, cantico e libro delle favole. Tutta materia edita in questi anni da vari soggetti e tanti narratori, che sicuramente ben raccontano e fan- no sognare ad occhi chiusi, ma ad occhi aperti, la realtà continua ad essere quella amara e triste che spesso i racconti a tinte pastello, da soli, rischiano di essere forieri di sorrisi e precursori della buona notte.
Le ragioni della vita e dell’ambiente devono fondersi con la dignità del lavoro. Un buon lavoro!