COMPORTAMENTO ANTISINDACALE DEL DATORE DI LAVORO
Un problema di una certa rilevanza si sta presentando in maniera sempre più pressante nel nostro mondo del lavoro: quello del trattamento economico in favore dei lavoratori in quarantena COVID e per quelli definiti “fragili”.
Un problema di una certa rilevanza si sta presentando in maniera sempre più pressante nel nostro mondo del lavoro: quello del trattamento economico in favore dei lavoratori in quarantena COVID e per quelli definiti “fragili” in quanto il messaggio INPS n. 2842 del 6 agosto u.s. (che segue il n. 1667 del 23 aprile) ha avuto il pregio di mettere in evidenza, dopo un breve riassunto normativo dello “stato dell’arte”, che non si può procedere alla erogazione della indennità in mancanza di rifinanziamento della norma.
Per ben comprendere la questione credo che sia opportuno fare chiarezza sulle disposizioni che si sono succedute nel corso del 2020 e che per i soli lavoratori fragili hanno avuto vigenza, con le opportune coperture, fino al 30 giugno 2021.
Come è noto, la norma impone una quarantena Covid di dieci giorni per i lavoratori non vaccinati e di sette per quelli vaccinati nel caso siano avvenuti contatti stretti con persone affette da COVID o per i lavoratori che rientrano in Italia da Paesi dichiarati “a rischio”, nonché nei casi disposti dall’autorità comunale (così afferma il D.L. n. 19/2020). Di conseguenza, viene meno la prestazione lavorativa perché ciò è imposto dal Legislatore e, quindi, il dipendente si trova nella impossibilità di offrire la propria prestazione ed il datore di lavoro di retribuirlo. Tutto ciò accade dal 1° gennaio 2021, atteso che la copertura economica per tali lavoratori e per quelli fragili, pari ad un massimo di 663,1 milioni di euro, è stata prevista fino allo scorso 31 dicembre.
Per la verità qualcosa è stato detto anche dalla legge n. 178/2020 al comma 482 dell’art. 1 che ha previsto un ulteriore finanziamento pari a 282,1, per i soli lavoratori fragili con scadenza 30 giugno 2021: se questi ultimi non possono utilizzare il lavoro agile, restano senza retribuzione e senza indennità. A tal proposito il messaggio n. 2842 ricorda che l’art. 9 del D.L. n. 105/2021, apportando modifiche al comma 2-bis dell’art. 26 del D.L. n.18/2020, ha affermato che fino al 31ottobre prossimo, la prestazione in smart-working è possibile anche attraverso l’adibizione dei dipendenti fragili in mansioni diverse ricomprese nella medesima categoria od area di inquadramento, secondo la definizione derivante dalla contrattazione collettiva, o in svolgimento di specifiche attività formative professionali “da remoto”.
Qui, occorre, da subito fare una distinzione: la questione della carenza indennitaria riguarda unicamente i dipendenti del settore privato in quanto per quelli pubblici sussiste la salvaguardia dell’art. 87, comma 1, del D.L. n. 18/2020, con la conseguenza che, per questi ultimi, non c’è alcuna perdita di retribuzione. E’ opportuno ricapitolare la definizione di ‘lavoratore fragile’, e si ricava dalla circolare congiunta n. 13/2020 dei Ministeri del Lavoro e della Salute ove si afferma che “il concetto di fragilità va individuato in quelle condizioni dello stato di salute del lavoratore/lavoratrice rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave ed infausto: esso può evolversi sulla base di nuove conoscenze scientifiche, sia di tipo epidemiologico, sia di tipo clinico”.
La mancata previsione della indennità potrebbe avere effetti non desiderati: perdita della retribuzione per dieci o sette giorni (che per un lavoratore rappresentano un “grosso peso”, atteso che si possono “sfiorare” anche i 500 euro), ma anche possibile mancata comunicazione di contatto stretto con altra persona affetta da COVID, per paura di perdere parte del salario: ciò non deve, assolutamente accadere ma il rischio, forte, sussiste.
Una soluzione pratica, ma parziale, potrebbe essere, ad esempio, quella del datore di lavoro del settore industriale che, erogando direttamente il trattamento di malattia per il personale impiegatizio (compresi i quadri) e per quello dirigenziale, lo corrisponda ai lavoratori appartenenti a tali categorie, atteso che il comma 1 dell’art. 26 del D.L. n. 18/2020, assimila la malattia e la quarantena per tale aspetto. Tutto ciò, però, creerebbe una ingiustificata differenziazione sia per i loro operai che per quei datori di lavoro che versano la contribuzione di malattia e con l’indennizzo che resta a carico dell’INPS che, però, non può intervenire per carenza di fondi.
Ma se il datore di lavoro intendesse, volontariamente, venire incontro alle esigenze dei propri dipendenti in quarantena, potrebbe riconoscere delle somme a tale titolo?
La risposta è positiva ma su questi compensi, a normativa attuale, graverebbe sia la contribuzione che l’IRPEF.
C’è, poi, la questione non secondaria dei certificati medici: l’Istituto ha affermato che, ai fini della tutela della quarantena Covid con isolamento fiduciario redatti dai sanitari curanti, seguendo le indicazioni dei Ministeri vigilanti in esecuzione della previsione del comma 1 dell’art. 26, essi sono validi per l’anno 2020, pur se non sia stato possibile reperire alcuna indicazione dal provvedimento emesso e, di conseguenza, verranno, a breve, meno tutte le sospen- sioni adottate per le carenze riscontrate. Il problema si pone, però, per l’anno in corso: i medici continueranno ad emettere certificati finalizzati a giustificare la quarantena, magari senza gli elementi probanti sopra riportati? C’è il fondato rischio che le aziende abbiano gestito malattie (infezioni COVID) che tali non erano o, al contrario, quarantene che non lo erano. Urge dunque un intervento normativo chiarificatore e, soprattutto, appare necessario prevedere un incremento economico dei fondi a disposizione.